Sono quindi nati, nell’ambito dei rapporti di lavoro, i famosi “contratti a progettoâ€, i cui firmatari sono oggi definiti, con poca fantasia, co.co.pro.
In pratica, si tratta di lavoratori autonomi con molte affinità con i dipendenti dell’azienda (si parla anche, infatti, di parasubordinati). Essi firmano con l’imprenditore (o ente pubblico, o libero professionista) un contratto di lavoro nel quale deve essere specificato con sufficiente chiarezza il progetto per cui il co.co.pro. èstato assunto: obiettivi, responsabilità , compenso.
Inoltre, nel progetto occorre che sia definito in che modo il lavoratore deve rapportarsi con la struttura produttiva e con il personale dipendente del committente, dato che normalmente la prestazione si tiene presso la sede di quest’ultimo e utilizzando i mezzi messi a disposizione dal datore.
In tutti i casi, il collaboratore deve essere libero di decidere quando lavorare (non gli possono esser imposti degli orari) e deve godere di autonomia nello svolgimento dell’opera. Come dicono i giuristi, la sua èun’obbligazione di risultato e non di mezzi: dunque deve portare a termine la missione indicata nel progetto scegliendo il “come†e il “quandoâ€, fermi restando i limiti indicati nel contratto.
In caso di violazioni da parte del committente, il rapporto si trasforma per effetto di legge in un ordinario contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.
Va detto che dal 1996 i collaboratori coordinati e continuativi sono tenuti all’iscrizione presso un’apposita Gestione Separata dell’INPS. I contributi sono versati dal committente e sono per due terzi a carico di questi ultimi e per un terzo a carico del lavoratore, con ritenuta in busta-paga.
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