In particolare, nell’ambito della suddetta pronuncia, la Suprema Corte ha anzitutto ricordato che il TFR èuna somma di denaro consistente nell’insieme di una serie di accantonamenti periodici, quindi proporzionale rispetto al periodo di servizio prestato, dovuta dal datore di lavoro al suo dipendente in caso di scioglimento del rappporto di lavoro.
Inoltre, in alcuni casi espressamente previsti dalla legge, il lavoratore puಠchiedere al suo datore di lavoro un anticipo della somma maturata a titolo di TFR (per maggiori informazioni si veda “motivazioni anticipo TFR“). Il trattamento di fine rapporto, dunque, come sottolineato dalla Cassazione, ha natura retributiva, in quanto viene calcolato sulla base degli stipendi percepiti.
La previdenza complementare èinvece in un istituto completamente diverso, in quanto finalizzato a garantire al soggetto che raggiunge i requisiti pensionistici un sussidio ulteriore. Nell’ambito del rapporto di lavoro, diverse aziende istituiscono esse stesse fondi pensione o si affidano a gestori di fondi pensione integrativa al fine di garantire un sussidio ulteriore al lavoratore. Si tratta pertanto di un contributo che ha natura contributiva (o previdenziale) e non retributiva, quindi non concorre alla formazione del TFR.
Nel caso in esame, dunque, la Cassazione èintervenuta per negare l’imputazione a TFR dei versamenti effettuati dal datore di lavoro a favore del dipendente a titolo di accantonamento a fondo di previdenza integrativa, pertanto èstato categoricamente escluso che tali importi possano andare ad aumentare la somma accantonata come TFR.