In pratica, la Suprema Corte ha ritenuto che una certa società operante nel settore manifatturiero, la quale aveva registrato elevate quantità di acquisti di materie prime a fronte della cessione di un numero irrisorio di prodotti finiti ha con certezza venduto il grosso della sua produzione senza emissione della fattura, con evidenti riflessi di evasione fiscale sia in tema di IVA che di imposte dirette.
L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto tale indizio di per sè già cosଠevidente e grave da giustificare un accertamento induttivo del volume d’affari senza preoccuparsi di trovare altri elementi probatori: atteggiamento censurato dalle commissioni tributarie di primo e secondo grado, che avevano dato ragione alla società .
Verdetti ribaltati perಠin Cassazione: a fronte di un indizio cosଠpesante, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che non vi fosse bisogno di altre dimostrazioni e ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo. Nè valsa la giustificazione fornita dalla società : la presenza, cioà¨, di elevate quantità di sfridi e scarti di materiale in fase di trasformazione industriale, una spiegazione perಠgiudicata implausibile dal punto di vista tecnico.
In definitiva, la società èora tenuta a pagare sia le imposte evase (determinate, come detto, col metodo induttivo, e dunque col ricorso agli studi di settore) sia le salatissime sanzioni previste. Tutto da vedere se il principio sancito dalla Cassazione avrà in futuro applicazioni anche a discapito di altri contribuenti sottoposti a verifica fiscale.