Il 2017 ha vısto il governo italiano introdurre un’importante novità attraverso la legge di bilancio: i PIR, Piani Individuali di Risparmio che permettono di beneficiare di importanti incentivi fiscali con l’obiettivo di incoraggiare i risparmiatori a investire nel tessuto delle piccole e medie imprese italiane.
Questo tipo di strumenti, da molti punti di vista abbastanza simili ai francesi plans d’èpargne, sono esenti sia dalla tassazione del 26% sui rendimenti che dall’imposta di successione, a patto perಠche si detenga l’investimento per 5 anni.
I PIR, possono essere venduti come fondi comuni di investimento, polizze vita o conti deposito, la raccolta 2017 ha raggiunto livelli ragguardevoli, nell’ordine degli 11 miliardi con una previsione di 9 miliardi per il 2018 (dati Assogestioni).
“L’idea di partenza dei Piani Individuali di Risparmio èsenza dubbio molto interessante e costituisce una buona opportunitࡠ– spiegano gli analisti di Geneve Invest, società¡ specializzata in gestione patrimoniale indipendente – cionondimeno, bisogna fare attenzione a numerosi punti critici che l’entusiasmo seguito al provvedimento ha in qualche misura silenziato. Innanzitutto – continuano da Geneve Invest – trattandosi, per definizione, di investimenti totalmente concentrati su un solo paese, l’Italia, e creati per sostenere il tessuto economico italiano, sono maggiormente esposti al rischio che porta con sèqualsiasi investimento non opportunamente diversificato.â€
In effetti i PIR sono stati immaginati come sistema di finanziamento alternativo per le piccole e medie imprese italiane, un ruolo tradizionalmente detenuto dalle banche: gli investitori residenti in Italia possono destinare una quota di massimo € 30.000 all’anno, fino a € 150.000 in cinque anni, sul progetto prescelto. La  composizione degli investimenti prevede che almeno il 70% del patrimonio venga investito in strumenti finanziari (azioni o obbligazioni) emessi da società italiane o straniere (UE e SEE) soggette al regime fiscale nazionale. Di questo 70%, almeno il 30% (o il 21% del totale delle attività investibili) deve essere allocato verso imprese medio-piccole, non incluse nell’indice FTSEMIB, indice di Piazza Affari che include le azioni delle 40 aziende italiane a pi๠alta capitalizzazione di Borsa.
“Investire in piccole e medie imprese, ècertamente lodevole dal punto di vista dell’obiettivo politico ed economico che ci si prefigge, tuttavia costituisce per il piccolo investitore, una fonte di rischio da tenere in alta considerazione– dichiara Neri Camici di Genà¨ve Invest. Il livello di analisi necessario a sviluppare un investimento in aziende di queste dimensioni si adatta maggiormente agli investitori istituzionali specializzati nel mercato italiano, che conoscono in maniera capillare le dinamiche e le esigenze dei settori in cui si va a investireâ€.
“Nonostante alcuni punti critici da noi evidenziati, questo tipo di strumento ha avuto due fattori di successo fondamentali, conclude Camici di Genà¨ve Invest: il vantaggio fiscale e quello pi๠importante a mio avviso che èstato quello di far abbandonare al piccolo risparmiatore la logica di breve termine, spostando il suo orizzonte temporale e diluendo l’investimento in un quinquennio con la positiva conseguenza di ridurre il rischio di ingresso nei mercati.â€