Secondo l’attuale normativa, i dipendenti pubblici di sesso maschile raggiungono l’età per la pensione di vecchiaia a 65 anni e le donne a 60. Poichè perಠa versare le pensioni èlo Stato (tramite l’apposito ente previdenziale, l’INPDAP), esse sono da considerarsi a tutti gli effetti come retribuzioni.
La UE infatti ritiene di carattere retributivo ogni somma che un datore di lavoro eroga all’ex dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro. E poichè nel caso in questione, lo Stato riveste sia il ruolo di datore che di erogatore delle somme, la pensione dei dipendenti pubblici èa tutti gli effetti una forma di retribuzione. E ovviamente non èconsentito stabilire discriminanti fra uomini e donne nel percepire una retribuzione, nemmeno per questioni di età .
La sentenza potrebbe avere, e probabilmente avrà , un effetto dirompente sui conti pubblici. Non si tratta di mere questioni di principio: le sentenze della Corte di Giustizia sono immediatamente esecutive e vincolanti. Lo Stato ha il dovere di adeguare la propria normativa il prima possibile, altrimenti scatteranno sanzioni che sarebbe riduttivo definire “pesantiâ€.
Ma èfacile comprendere che la portata di queste modifiche ètale da rendere tutt’altro che agevole la vera rivoluzione pensionistica che andrebbe attuata.
Senza contare che, per ovvi motivi di uguaglianza sociale, tale modifica dovrebbe essere estesa dai dipendenti pubblici ad ogni altra categoria di pensionati.