Una volta raggiunto l’accordo, il contribuente e l’Agenzia delle Entrate stipulano un documento chiamato “atto di adesioneâ€: da solo, perà², esso non ha efficacia operativa. Perchè l’atto la acquisisca e l’accordo diventi definitivo e inamovibile occorre pagare entro venti giorni l’intero importo concordato.
C’ anche la possibilità , tuttavia, di rateizzare l’importo complessivo (in otto o dodici rate trimestrali), pagando gli interessi sulle rate successive alla prima. In tal caso, entro i venti giorni occorre pagare la prima rata e soddisfare una seconda condizione; ed èsu quest’ultima che èscoppiata recentemente una bufera.
Fino al marzo scorso, il requisito in questione riguardava tutti i contribuenti che rateizzavano: una polizza fideiussoria, da presentare all’Agenzia delle Entrate. Il 26 marzo, perà², si scelse di eliminare questo requisito per i debiti che complessivamente non superavano i cinquantamila euro.
Inaspettatamente, tuttavia, questo requisito èstato reintrodotto dal Parlamento, forse per un errore tecnico: cosicchè, dal 21 settembre anche per i debiti di modesta entità la famosa fideiussione èritornata indispensabile per ottenere il beneficio della rateazione.
E questo èun problema per molti piccoli imprenditori, che spesso hanno difficoltà ad ottenerla dalle banche, se non a costi esorbitanti.
àˆ probabile che la reintroduzione della fideiussione sarà a sua volta abrogata prossimamente (in ambiente governativo ci si èaccorti della svista, che ha provocato le critiche delle associazioni di categoria), ma difficilmente questo accadrà prima di qualche settimana.
Fonte: Il Sole 24 Ore