Tutto questo ha creato notevoli riflessi sull’economia dei porti turistici italiani, come denunciano le due associazioni del settore (Assomarinas e Assonat). Società e consorzi che gestiscono i porti turistici, infatti, contano principalmente su entrate legate alla cessione del carburante, alla manutenzione e ai diritti di ormeggio, oltretutto con margini di guadagno che per singola imbarcazione sono risicati.
Gli affari, pertanto, si fanno con i grandi numeri. E fra i costi da sostenere, vanno ricordati anche i canoni di concessione al Demanio, già elevati e destinati, con tutta probabilità , a moltiplicarsi nel prossimo futuro.
Un altro problema, poi, èquello dell’IVA. Mentre in altri Paesi, per favorire il turismo, sono previste aliquote agevolate sulle attività gestite dai porti turistici, in Italia vige l’aliquota ordinaria del 20%, nonostante da anni le associazioni di categoria implorino una sua riduzione. Anche per cause fiscali, quindi, una parte del traffico potenzialmente diretto in Italia finisce per essere deviato verso le meno costose Francia e Spagna.
La crisi in atto ha anche rallentato lo sviluppo di nuovi posti-barca. Secondo i progetti, entro il giugno 2010 andavano realizzati diciottomila nuovi posti, ma ne sono stati creati solo diecimila, anche a causa di normative piuttosto rigide.
C’, comunque, una speranza secondo gli operatori, e si chiama federalismo demaniale. Quando le singole Regioni gestiranno in prima persona queste questioni, forse potranno arrivare importanti cambiamenti.
Fonte: Il Sole 24 Ore