Alcuni dati sono sconfortanti, e non tutti dipendono dalla crisi in corso ma costituiscono semmai delle debolezze strutturali che l’Italia si porta dietro da sempre, e che la rendono meno competitiva rispetto agli altri principali produttori europei.
Si segnala, in particolare, l’eccessiva frammentazione degli operatori del settore, per non dire polverizzazione. Nella filiera che parte dal contadino e arriva sulle nostre tavole entrano in gioco una o pi๠industrie di trasformazione, la distribuzione all’ingrosso e al dettaglio e, spesso, anche vari intermediari che si interpongono fra un anello e l’altro.
A fronte di oltre un milione di produttori (includendo anche la pesca), abbiamo oltre settantamila fabbriche coinvolte a vario titolo, pi๠di duecentomila fra venditori all’ingrosso, supermercati e negozianti al dettaglio, e altre duecentocinquantamila figure che rivendono alimenti sotto altra forma, come bar e ristoranti.
Il risultato conclusivo èche i costi dei prodotti lievitano eccessivamente, dato che ognuna di queste figure avrà diritto al proprio margine di guadagno.
La soluzione si chiama aggregazione. I rappresentanti del settore chiedono alle istituzioni maggiori incentivi, anche a carattere fiscale, per favorire la costituzione di società e associazioni fra produttori e manifattori, tali da ridurre i passaggi all’interno della filiera e i rispettivi costi.
Va inoltre detto che imprese pi๠grandi hanno anche maggiori possibilità di creare economie di scala, abbattere i costi e competere sui mercati internazionali.