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Fallimento piano casa

Le prospettive erano ottime per il rilancio del settore dell’edilizia (si parlava di un giro d’affari potenziale intorno ai sessanta miliardi), ma dopo pi๠di un anno dalla sua entrata in vigore possiamo constatare come il cosiddetto “piano casa” sia miseramente fallito.

Il Governo aveva permesso una deroga sulle consuete norme urbanistiche, consentendo un ampliamento della volumetria degli edifici esistenti fino al 35%. La norma di legge, tuttavia, rinviava alle regole fissate da Regioni e Comuni per l’applicazione concreta, e non poteva essere diversamente dato che si tratta di una materia dove, per Costituzione, gli enti locali hanno larga voce in capitolo.


E qui sono cominciati i problemi: innanzitutto, molti degli enti interessati hanno fissato le norme applicative prendendosi molti mesi per discuterle; in secondo luogo, sono stati spesso e volentieri fissati moltissimi vincoli e paletti che, di fatto, rendono difficile l’attuazione di qualunque intervento di ampliamento volumetrico.

D’altronde, i vincoli urbanistici sono tanti. Si pensi all’obbligo legislativo di creare almeno un metro quadrato di parcheggi per ogni dieci metri quadri di nuove costruzioni, o l’obbligo di rispettare le distanze minime fra un edificio e l’altro, e si comprende facilmente come non sia facile costruire, soprattutto nei grandi centri urbani.
Maggiori possibilità  si hanno nei piccoli centri o nelle periferie, se non intervenissero i divieti stringenti posti da governatori e sindaci, gran parte dei quali, fin dall’inizio, hanno dichiarato la loro contrarietà  al piano casa.


In definitiva, sono stati finora solo circa 2.700 gli interventi approvati in tutta Italia, gran parte dei quali in Veneto e Sardegna (che hanno stabilito norme meno rigide); circa il 10% del totale nazionale ha trovato luogo nel Padovano.
E i tempi stringono: il piano casa perderà  ogni efficacia nel prossimo luglio.

Fonte: Il Sole 24 Ore