Quello che ammazza il tessuto industriale tricolore non ètanto la scarsa performance delle aziende di cui non deve essere messa in discussione la qualità di prodotti e servizi, quello che ammazza l’industria nostrana èl’assenza di lungimiranza nella strategia imprenditoriale.Â
àˆ vero che personaggi come Adriano Olivetti in grado di operare la variazione della produzione per far sopravvivere la sua azienda, non esistono pià¹, ma qui si dimentica il valore della progettazione dando spazio esclusivamente al profitto. Un trend che potremmo chiamare mercato estemporaneo, che trasforma gli imprenditori in meri venditori e fa appassire dietro il guadagno, il fiore della professionalità .
Troppa poesia? Non se si considera la crisi dei Compro Oro (ma anche quella dei negozi di sigarette elettroniche non èda meno!). Ne parla l’Associazione Nazionale Orafi scrivendo:
I compro oro erano il termometro della crisi: pi๠i clienti aumentavano pi๠alta era le febbre delle nostre finanze. A un certo punto qualcosa s’ rotto: i negozi che acquistano e rivendono metalli preziosi boccheggiano: nel 2014, da 35 mila sono passati a 22 mila e il giro d’affari si èdimezzato.«Oggi il fatturato annuale medio non supera i 300 mila euro», spiega Gianni Lepre, segretario di Oroitaly, associazione di categoria che riunisce le piccole e medie imprese. «Abbiamo perso migliaia di posti di lavoro e la situazione peggiora», dice. Difficile capire cosa sia successo. «Gli italiani hanno dato via il loro tesoretto e si sono impoveriti ulteriormente», dice Lepre. Basta per spiegare 13mila esercizi in meno in un anno? Un peso importante l’ha avuto la corsa al ribasso del costo dell’oro. «Valeva 44 euro al grammo, èsceso fino a 28. Un crollo drammatico», racconta David Campomaggiore, romano, titolare di esercizi a Ciampino, Tor Bella Monaca, Casetta Mattei e Grottaferrata. «Tutti quelli che non avevano bisogno di vendere hanno smesso di farlo», dice. E poi c’ stata una sorta di selezione naturale: durante il boom ci hanno provato in tanti, magari senza competenze, creando una bolla destinata a scoppiare, esattamente come èsuccesso con i negozi per le sigarette elettroniche e i rivenditori di high tech di seconda mano. «La concorrenza era altissima: tiravano su la serranda e iniziavano a guadagnare», dice Campomaggiore. Poi hanno scoperto che le spese sono alte: l’affitto, il personale, la fonderia. La fine del boom sta spazzando via i dilettanti. «Qualcuno – sorride Rossetto – promette 50 euro a grammo, poi ne paga 20. O èun ingenuo o èin malafede». Non tutte le chiusure sono state imposte dalla crisi: spesso i sigilli li ha messi la Guardia di Finanza.