Alcune settimane fa si paventಠil rischio di una situazione dei conti pubblici simile a quella greca, ipotesi fortunatamente smentita, ma rimane il fatto che la repubblica magiara non lascia dormire tranquilli gli investitori.
Il problema deriva da una fragilità macroeconomica di fondo, derivata da una struttura passata troppo rapidamente al capitalismo senza aver ancora trovato un suo assestamento (problema comune, peraltro, a parecchi Stati dell’area). Cosà¬, problemi come il debito pubblico, la disoccupazione e la riduzione del PIL producono in Ungheria effetti molto pi๠devastanti rispetto a quello che dati analoghi determinerebbero in nazioni pi๠forti.
La riduzione del prodotto interno lordo nel 2009 èstata pari al 6,3%: un dato elevato ma in termini assoluti non eccessivamente disastroso, cosଠcome anche il rapporto deficit/PIL, l’ammontare del debito pubblico e le altre variabili che ormai abbiamo imparato a conoscere bene.
Presi insieme, perà², questi fattori incidono su un tessuto economico debole, e il rischio di un logoramento nel medio periodo èconcreto. E se, in realtà , il peso economico dell’Ungheria all’interno dell’Unione Europea èabbastanza modesto, tanto che le voci infondate che circolavano alcune settimane fa hanno inciso pochissimi sui mercati, rimane il timore di un contagio che possa estendersi alle nazioni vicine, altrettanto fragili, come le repubbliche ex-cecoslovacche ed ex-jugoslave oppure la Polonia.
Altri due problemi, inoltre, entrano in gioco. Il nuovo governo ungherese ha di fatto rigettato i durissimi accordi di risanamento stipulati dai predecessori con le istituzioni finanziarie internazionali, aprendo molti interrogativi, e le stesse istituzioni valutano con sfavore la salatissima tassa sulle banche appena introdotta dal governo di Budapest.
Fonte: Il Sole 24 Ore