Facciamo un passo indietro. Fino ad oggi, in tema di OGM, la norma prevedeva un sistema unico di autorizzazione comunitaria, riferita allo specifico prodotto: dopo una lunga fase di sperimentazione, l’organismo poteva essere coltivato sul suolo comunitario; in ogni caso, si lasciava il potere allo Stato di vietarne la coltivazione.
Fino ad oggi, perà², un solo OGM ha ottenuto l’autorizzazione comunitaria: si tratta del mais transgenico MON810, realizzato in laboratorio dalla multinazionale Monsanto. Per inciso, l’autorizzazione, di valenza decennale, èstata emanata nel lontano 1998 e non èancora stata rinnovata, sebbene, di fatto, le relative coltivazioni proseguano tranquillamente.
Alcuni Stati hanno perಠvietato espressamente la coltivazione del mais transgenico; altri, come l’Italia, hanno mantenuto un atteggiamento pi๠ambiguo (la coltivazione, al momento, non èammessa, in attesa di maggiori evidenze scientifiche), mentre in sette Paesi le colture sono partite senza grossi intoppi: Spagna, Portogallo, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.
Ora, perà², si cambia: in pratica, l’Unione Europea rinuncia ad avere una sua posizione, lasciando al singolo Stato ogni decisione in materia. Una soluzione un po’ pilatesca che ha creato molte polemiche, trattandosi di una questione cruciale per il futuro dell’agricoltura.
Va anche notato come le posizioni dei Paesi aderenti siano spesso trasversali: la Francia, ad esempio, vieta le coltivazioni OGM ma finanzia largamente la ricerca scientifica. E questa pare essere la posizione anche dell’attuale Governo italiano: per bocca del ministro Galan, si vuole evitare il rischio che si crei un gap di conoscenze difficile da recuperare in seguito.