In pratica, si tratta di una delle tante norme (si pensi anche al mandato d’arresto comunitario) con le quali le decisioni della magistratura di uno Stato aderente sono rese valide anche negli altri Paesi, nell’ottica della collaborazione reciproca e dell’abbattimento delle frontiere.
In particolare, il problema in oggetto sorge quando un giudice di un’altra nazione UE chiede la confisca di beni situati sul territorio italiano.
Innanzitutto, le questioni di competenza: la richiesta va inviata alla corte d’appello italiana competente per territorio, determinato sulla base del luogo dove si trova il bene in oggetto; se la richiesta riguarda pi๠beni sparpagliati sul territorio, la competenza si individua sulla base del bene di maggior valore; nei casi pi๠dubbi, infine, decide la corte d’appello di Roma.
Occorre poi verificare il tipo di reato commesso da cui èscaturita la richiesta di confisca. Per alcuni reati particolarmente gravi (terrorismo, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione…) e a fronte di condanne ad almeno tre anni di carcere, alla sentenza si riconosce immediato valore anche in Italia; per i reati rimanenti, invece, occorre che analoga condanna sia stata emessa anche da un organo giudicante italiano.
Stabilito questo, la confisca èseguita (secondo le regole procedurali italiane), a meno che non intervenga una causa che imponga di rigettare la richiesta. Le cause di rigetto sono: incompletezza della documentazione e delle informazioni fornite; fatti che in Italia non costituiscono reato; ipotesi di immunità o di beni non confiscabili; lesione dei diritti di terzi in buona fede; altre cause minori.
In ogni caso, la decisione deve essere emessa entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza.
Fonte: Il Sole 24 Ore