Nel nostro Paese vige sempre la libertà di interpretazione: le risposte agli interpelli sono “documenti di prassiâ€, cioètali da persuadere i cittadini a seguire un certo comportamento, ma senza comunque vincolarli. Oltretutto, nemmeno l’ente ètenuto ad uniformarsi, tanto che èfrequente che di fronte a due distinti interpelli, il medesimo ente cambi idea e fornisca un’interpretazione diversa su un caso identico a quello già valutato a suo tempo.
Il contribuente potrà dunque sentirsi libero di uniformarsi o meno all’interpretazione offerta dall’ente. Ma esiste una differenza notevole rispetto al già descritto caso della consulenza rispetto ad una domanda di carattere generale, ed èlegata all’onere della prova.
Qualora, infatti, il contribuente scelga di non uniformarsi al parere ricevuto e successivamente dovesse sorgere un contenzioso, la legge stabilisce una presunzione a favore dell’ente. Toccherà dunque al contribuente dimostrare le sue ragioni e giustificare il fatto di non essersi uniformato alla risposta ottenuta.
Ma anche l’ente puಠfare altrettanto. Puಠcioèoffrire una data interpretazione al contribuente e successivamente rinnegarla, contestandogli il comportamento che egli (pur in buona fede) ha posto in essere uniformandosi al parere; in questi casi, comunque, non ci sono mai sanzioni a carico del contribuente. E naturalmente stavolta toccherà all’ente dimostrare perchè il comportamento tenuto dal contribuente andrebbe contro le norme esistenti.
Nell’ipotesi, infine, di mancata risposta entro centoventi giorni vale il principio del silenzio-assenso: il contribuente èlibero di interpretare la legge come ritiene corretto e comportarsi di conseguenza. In caso di successive controversie, l’onere della prova toccherà all’ente e comunque il cittadino non èmai sanzionabile.