L’ipotesi èquella di consentire alle imprese comunitarie che intendono investire in Italia la possibilità di sottoporre gli utili maturati nel nostro Paese non alla nostra normativa fiscale bensଠa quella vigente in uno qualunque degli altri Stati appartenenti all’Unione Europea.
Percià², poniamo, una società tedesca che dovesse stabilirsi in Italia potrebbe decidere di non pagare le tasse secondo la nostra normativa bensଠsecondo quella di casa loro, o anche di un qualunque Paese comunitario terzo, dal Portogallo alla Svezia, da Malta all’Estonia.
I vantaggi per l’investitore sarebbero diversi, classificabili in due ordini: innanzitutto ci sarebbe la possibilità di adottare una soluzione meno pesante dal punto di vista della pressione fiscale (si pensi che in Irlanda l’aliquota dell’imposta corrispondente alla nostra IRES èdi appena il 12,5%); in secondo luogo, ci sarebbe la possibilità di non dover rivolgersi ad un esercito di consulenti che studino la normativa da applicarsi, dato che si potrebbero utilizzare anche in Italia le regole fiscali già conosciute e applicate a casa propria o presso altri Stati in cui si ègià investito.
Un futuro decreto ministeriale dovrebbe definire i dettagli della regola descritta. Importante, ad esempio, sarà capire se l’opzione varrebbe anche per tutti gli obblighi fiscali di natura strumentale, come la tenuta dei libri contabili oppure il contenuto delle fatture.
In tutti i casi, la normativa sarebbe applicabile soltanto su opzione dell’impresa, e tale opzione avrebbe valenza soltanto triennale. Inoltre, sarebbero interessate soltanto le aziende straniere che si trasferiscono o aprono una filiale sul suolo italiano dopo il 31 maggio 2010.
Fonte: Il Sole 24 Ore