Prima di tutto, si creerebbe una disparità di trattamento verso le aziende italiane (e verso quelle estere già stabilite in passato in Italia), che subirebbero i vantaggi riservati a queste altre società sottoposte ad una pressione fiscale minore e ad una normativa meno complicata: èchiaro che il gioco della concorrenza sarebbe falsato e le proteste di Confindustria e delle altre associazioni sarebbero prevedibilmente durissime. Senza contare, inoltre, che anche l’Unione Europea, censore rigidissimo delle norme sulla concorrenza, avrebbe sicuramente parecchio da ridire.
C’ poi un altro aspetto, pi๠tecnico ma altrettanto importante. I funzionari della nostra Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza sarebbero costretti ad imparare la normativa fiscale di ben ventisei Stati stranieri, laddove già conoscere la nostra alla perfezione rappresenta un’impresa da guinness dei primati.
Non solo: la normativa fiscale cambia continuamente in ogni nazione, cosicchè i nostri funzionari dovrebbero passare le loro giornate a tenersi informati dell’ultima novità olandese in tema di deducibilità degli interessi passivi, oppure del contenuto dettagliato dell’ultima legge finanziaria slovacca.
àˆ ovvio che un’ipotesi del genere non solo sembra davvero difficile da percorrere, ma va anzi in totale controtendenza rispetto al pi๠volte dichiarato intendimento del ministro Tremonti di procedere a tappe forzate verso una radicale semplificazione e razionalizzazione dell’intera normativa tributaria italiana.
Fonte: Il Sole 24 Ore