I motivi sono molteplici: si va dai piccoli arrotondamenti fatti al singolo cliente, a cui magari sono stati abbuonati quei due centesimi che gli mancavano per pagare esattamente quanto risultava dallo scontrino, alle monete rotolate sotto il bancone fino agli errori di conteggio; e non si possono nemmeno escludere a priori piccoli furti compiuti dai dipendenti.
Tecnicamente, tutte queste mancanze sono definite “insussistenze passiveâ€, e sono una voce di costo che incide negativamente sul reddito contabile. Ma cosa accade dal punto di vista fiscale?
Fino a pochi giorni fa, tutti concordavano che tali insussistenze andavano considerate indeducibili, poichè risultava impossibile (e quindi facilmente contestabile) dimostrare di averle subite davvero.
A rovesciare il tavolo ha perಠpensato l’Agenzia delle Entrate, con la recente risoluzione 54/2010, che ha aperto un grosso spiraglio alle aziende: l’Erario, infatti, accetta ora che tali insussistenze siano autocertificate.
In altre parole, occorre che, a fine serata, sia redatto un verbale in cui si attestino le insussistenze subite nelle ventiquattro ore; tale redatto dev’essere sottoscritto sia dal cassiere interessato che dal responsabile aziendale dei controlli (o, in mancanza, dal responsabile legale dell’impresa o dal direttore della filiale).
C’ perಠuna condizione inderogabile da rispettare: l’ammontare delle insussistenze dichiarate dev’essere fisiologico e ragionevole, in ragione del fatturato quotidiano e delle prassi del settore di riferimento… insomma, che sia dichiarato uno scostamento di qualche euro puಠandar bene, ma se si dichiara che sono spariti mille euro appare una scusa poco plausibile per abbattere le tasse, a meno di non presentare una formale denuncia per furto.