Molte aziende agricole, infatti, producono e rivendono all’esterno energia elettrica tramite diverse strade, dai pannelli solari montati sui tetti delle serre all’impiego delle biomasse che derivano come prodotto di scarto dall’ordinaria attività di coltivazione o di allevamento.
Ma fino a che punto tale attività puಠdefinirsi “secondaria†e quindi fa sଠche l’azienda si mantenga comunque agricola e oltre il quale invece essa va considerata come un’industria, o in ogni caso come un’impresa commerciale?
Vale la pena ricordare che i metodi per calcolare il reddito fiscalmente imponibile sono diversissimi nei due casi, e normalmente ben pi๠convenienti nel primo caso.
Ebbene, la legge stabilisce che la produzione di energia èattività secondaria e dunque il reddito prodotto èclassificato come agrario se èrispettato almeno uno dei seguenti tre requisiti.
La prima ipotesi èche l’energia sia prodotta da impianti che siano fisicamente integrati all’interno di strutture architettoniche aziendali destinati all’attività agricola tradizionale.
La seconda possibilità èche il volume d’affari derivante dalla produzione agricola principale sia superiore a quello inerente la cessione di energia, detraendo da quest’ultimo il fatturato inerente una franchigia pari a duecento kilowatt.
Infine, l’impresa rimane fiscalmente agricola se l’imprenditore coltiva almeno un ettaro di terreno ogni dieci kilowatt prodotti in eccedenza sulla franchigia di 200 KW, e comunque entro il limite massimo di un megawatt.
Queste conclusioni sono contenute nella recente circolare n. 32/2009 dell’Agenzia delle Entrate, che contiene anche numerosi dettagli tecnici cui si rinvia per approfondimenti.