Tutto ha avuto inizio circa un anno fa, quando la Corte Costituzionale attraverso una sua sentenza aveva definito la Tia un tributo e non un corrispettivo per un servizio reso, motivo per il quale l’Iva non poteva essere applicata.
A seguito di questa sentenza, dunque, sono partite le richieste di rimborso da parte dei consumatori, fino a quando la manovra correttiva contenuta nella Finanziaria dello scorso maggio ha stabilito per legge che la Tia èuna tariffa e non un tributo, e che quindi l’Iva deve essere pagata.
Il dilemma sembrerebbe risolto se non fosse che il decreto si riferiva alla nuova Tia, ossia quella prevista dal Codice dell’Ambiente ma in relazione alla quale non c’èancora stato alcun regolamento attuativo, e non alla Tia a cui si èprecedentemente riferita la Corte Costituzionale.
Da qui l’intervento del dipartimento delle Finanze e della sua circolare, che ha assimilato le due forme di Tia spiegando che in realtà si tratta della stessa cosa, quindi l’Iva deve essere pagata in entrambi i casi. Le associazioni dei consumatori, tuttavia, non la pensano cosଠin quanto sostengono che una semplice circolare non ha forza di legge, per cui i cittadini possono continuare a richiedere i rimborsi.
Allo stesso tempo, tuttavia, se verrà confermata la validità della circolare del dipartimento delle Finanza, sarà l’Agenzia delle Entrate a poter chiedere un rimborso per evasione fiscale sulle fatture emesse dai comuni che hanno eliminato l’Iva troppo velocemente.