Se il contribuente ètitolare di partita IVA, la situazione puಠfacilmente divenire pesante. All’Agenzia, infatti, èriconosciuto dalla legge il potere di considerare ogni versamento su c/c come un ricavo o compenso derivante dall’attività imprenditoriale o professionale, e ogni prelevamento come una spesa non documentata con cui sono stati acquistati materie o servizi da cui sarebbero successivamente derivati ulteriori ricavi non fatturati.
Queste presunzioni legali riconosciute agli ispettori del Fisco hanno valenza tanto ai fini delle imposte dirette (IRPEF/IRES, addizionali, imposte sostitutive, IRAP) che ai fini del calcolo dell’imponibile IVA.
L’onere della prova spetta al contribuente: èlui, infatti, che dovrà dimostrare che tutti questi movimenti corrispondono ad operazioni attive e passive debitamente documentate e registrate. Inutile dire che una rigorosa tenuta delle scritture contabili diventa un elemento indispensabile per uscire con le ossa integre dal confronto con l’Agenzia: se non emergessero corrispondenze o se le scritture fossero disordinate e inattendibili, la possibilità di un avviso di accertamento pesantissimo sono molto elevate.
In alternativa, èpossibile cercare di dimostrare che determinati importi non hanno a che fare con la propria attività , perchè dipendenti, ad esempio, da regali, eredità , vincite al gioco ecc., e quindi esclusi da tassazione.
In tutti i casi, il problema èinteramente del contribuente: documentando i movimenti sul c/c l’Agenzia ègià posta in una posizione di vantaggio, pi๠che sufficiente a vincere un’eventuale controversia qualora il contribuente non porti prove convincenti a sostegno delle proprie tesi.