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Delocalizzare i call center

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Molte aziende hanno trovato un nuovo sistema per risparmiare sui costi: spostare i propri call center all’estero, arruolando giovani del posto per servire i clienti italiani.

Le mete pi๠gettonate di questa particolare forma di delocalizzazione sono l’Albania e la Romania, Paesi vicini i cui abitanti hanno una buona conoscenza della nostra lingua e in cui il costo del lavoro èmodesto, ma ultimamente stanno sorgendo ipotesi meno scontate, come la Tunisia e addirittura l’Argentina.


Sono soprattutto le grandi compagnie telefoniche a vagliare e porre in realizzazione queste soluzioni. Soluzioni già  operative da qualche anno, ma che sono andate accelerandosi nell’ultimo anno, a causa della crisi che ha spinto a tagliare i costi in tutte le direzioni, inclusi gli indispensabili call center, i cui dipendenti sono diverse centinaia (e dunque piuttosto costosi).

Protestano, come prevedibile, i sindacati, che vedono in questa delocalizzazione un ulteriore fattore che deprime il tasso di disoccupazione. Ma esistono anche altre due cause che suscitano, come minimo, molte perplessità .


Innanzitutto, alcune aziende, come H3G, sembra fare una distinzione fra clienti privilegiati, le cui chiamate sono destinate ad efficienti call center italiani in cui i cittadini sono assistiti di tutto punto, e clienti di serie B, le cui telefonate, deviate ai pur volenterosi centralinisti rumeni, non consentono di ottenere un servizio altrettanto adeguato.

Inoltre, vi sono forti timori sulla privacy, tanto che anche il Garante sta iniziando ad interessarsi alla questione. Esistono leggi severe sull’esportazione dei dati personali, ed èlecito chiedersi fino a che punto i call center delocalizzati li rispettino in merito a nomi, indirizzi e numeri telefonici dei clienti italiani.