Il quadro èsconfortante, soprattutto se posto in confronto con le medie degli Stati nordeuropei e con gli obiettivi prefissati dai trattati comunitari.
Il gap pi๠profondo riguarda lo stipendio. Un dipendente di sesso maschile riceve mediamente 1.334 euro al mese al netto di tasse e contributi, contro i 1.070 delle colleghe donne: una differenza di oltre il 20%, spiegabile soltanto in parte con il fatto che una lavoratrice su cinque lavora in part-time.
Le differenze retributive sono pi๠sensibili soprattutto nei ruoli di pregio minore nelle gerarchie aziendali: operai e impiegati; il gap esiste (8%) ma èmeno sensibile a livello dirigenziale, laddove si registra piuttosto un problema diverso, e cioèla difficoltà di accesso per le lavoratrici, che con grande difficoltà riescono ad accedere anche al solo al livello di quadri.
L’esempio tipico èil settore della medicina, dove la maggior parte degli occupati èdi sesso femminile, ma i primari dei reparti ospedalieri (i famosi “baroniâ€) sono quasi esclusivamente uomini.
A livello geografico, le differenze retributive pi๠elevate si registrano nel Nord-Est, mentre sono pi๠attenuate nel Meridione.
Nelle Regioni del Sud, perà², il vero problema èsemmai il tasso di occupazione femminile, fermo intorno al 30%. Ma il basso tasso di occupazione femminile èin realtà un problema nazionale: la media italiana, infatti, si attesta al 46,1% (quella maschile èal 68,9%), contro la media comunitaria del 59%.