I lavoratori precari in genere sono assunti con contratti di collaborazione a progetto ma sempre pi๠spesso capita che sia offerta loro soltanto una collaborazione a partita IVA, basata su una forma di lavoro autonomo molto lontana dallo stipendio e dalle possibilità dei professionisti.
Diciamolo, lavorare con partita IVA non vuol dire essere liberi professionisti, anzi il pi๠delle volte, nell’ultimo periodo, vuol dire soltanto essere formalmente autonomi, perchè nella pratica le regole da rispettare sono le stesse dei dipendenti e dei lavoratori a progetto. Allora perchè non chiedere di stipulare un co.co.pro?
All’azienda conviene assumere una partita IVA perchè la retribuzione lorda èmolto bassa. Secondo le statistiche italiane, non supera i 19 mila euro all’anno ma spesso supera di poco i 10 mila euro. C’èpoi da considerare il divario tra uomo e donna me questo èun altro discorso perchè non èbello sapere che un autonomo maschio ha uno stipendio medio di 23.874 euro e una donna con lo stesso contratto non va oltre i 12.185 euro.
Entriamo allora nel merito delle differenze retributive che spesso non sono associate ad una variazione del ruolo, nel senso che indipendentemente dalla professione svolta, la retribuzione proposta èla stessa.
Dove i dipendenti pubblici e privati hanno rispettivamente un salario di 35157 e 29455 euro, il Co.co.pro si mette in tasca soltanto 20,966 euro che diventano 12043 se il suo contratto atipico èstipulato con una PA. Le partite IVA possono guadagnare mediamente 18640 euro se l’iscrizione èindividuale mentre per una partita IVA in partecipazione si scende fino a 10062 euro.
Insomma una guerra tra poveri che piace soprattutto alle aziende che in base ai contributi da pagare trovano pi๠conveniente assumere un parasubordinato rispetto ad un dipendente. àˆ probabile che con la revisione del cuneo fiscale e con nuovi incentivi alle imprese, nonchè con la detassazione degli stipendi si possa arrivare un giorno ad una situazione di maggiore equilibrio.