Innanzitutto, vanno chiarite le questioni terminologiche. Si parla correntemente di “stipendio†in relazione a dirigenti, quadri e impiegati e di “salario†con riferimento agli operai e, in agricoltura, ai braccianti (una figura, peraltro, ormai quasi estinta).
In altre parole, lo stipendio èproprio di chi esercita un lavoro da ufficio mentre il salario appartiene a chi esegue lavori manuali. Ma si tratta in realtà di disquisizioni lessicali fini a se stesse: fra salario e stipendio, nella sostanza, non c’ alcuna differenza, poichè si tratta di due modi distinti per indicare la paga del lavoratore dipendente.
Eseguita l’assunzione, al lavoratore viene specificato a quanto ammonta il suo stipendio/salario lordo; ma, per arrivare a quanto egli concretamente incasserà (il netto) occorrerà passare attraverso due categorie di detrazioni: quelle fiscali e quelle previdenziali.
Il datore di lavoro ètenuto per legge, infatti, a trattenere dalla busta-paga sia le imposte sul reddito erogato al lavoratore (IRPEF, addizionali varie, imposte sostitutive) sia la quota di contributi previdenziali a carico del lavoratore stesso, che saranno poi riversati in un secondo momento rispettivamente all’Erario e all’INPS (o ad altro ente previdenziale).
I calcoli alla base di entrambe le trattenute sono estremamente tecnici e complessi, e per di pi๠esistono dei fattori che mutano di mese in mese: la trattenuta sull’addizionale regionale, ad esempio, èseguita solitamente in solo undici dei dodici mesi. àˆ per questo che, a fronte di un lordo costante, il netto varia ogni mese.