Al termine del periodo di maternità , pertanto, la lavoratrice-madre (o, in alternativa, il padre) puಠchiedere un ulteriore congedo fino al massimo di sei mesi, o, se vi èun unico genitore, fino a dieci mesi. Si possono avere ulteriori proroghe se il figlio èportatore di handicap.
Le conseguenze in termini di diritti e obblighi sono le medesime, salvo che l’indennità riconosciuta in questa fase èpari al 30% di quella ordinaria.
Oltre a questo, nei primi tre anni di vita del bambino, se questi si ammala la madre puಠastenersi dal lavoro per l’intero periodo di durata della malattia. Quando il piccolo ha pi๠di tre anni ma meno di otto, l’astensione per malattia èriconosciuta fino a cinque giorni all’anno. Ancora una volta, se la madre non desidera servirsi di tale congedo, esso puಠessere fruito dal padre.
Oltre, infine, a diversi altri diritti minori (come i cosiddetti “permessi per allattamentoâ€) riconosciuti dalla legge e dai contratti collettivi, si ricorda il divieto assoluto di licenziare una lavoratrice in stato di gravidanza oppure una puerpera nell’anno successivo al parto, salvo l’ipotesi della giusta causa. Se il lavoratore-padre fruisce del congedo di paternità , il divieto si estende anche a suo favore per la durata dello stesso.
Ma non basta: se in questo periodo di divieto di licenziamento la lavoratrice presentasse le sue dimissioni, esse dovranno essere confermate davanti all’Ispettorato del Lavoro. Questa norma serve per stroncare la prassi del licenziamento mascherato da false dimissioni estorte alla lavoratrice-madre in difficoltà .