Spetterà ora ai giudici stabilire se i danni riportati dalla donna, talmente gravi da causarle la perdita della voce, possano essere considerati una malattia professionale.
In tal caso bisognerà individuare le soluzioni da attuare, quindi ad esempio predisporre degli strumenti di lavoro migliori, introdurre una diversa regolamentazione dei tempi di lavoro oppure rendere obbligatori degli intervalli tra una telefonata e l’altra. Pertanto, se i giudici dovessero considerare la perdita delle voce da parte della donna torinese una malattia professionale potrebbe scaturire da tale decisione una vera e propria rivoluzione nel mondo dei call center.
Fino ad ora il tipo di lesione riportato dalla donna era stato associato pi๠al lavoro di insegnante che a quello di operatore di call center, che invece era stato considerato fino ad ora soprattutto fonte di stress, dal momento che chi lo svolge ècostretto a stare con le cuffie nelle orecchie per parecchie ore, a rispondere a domande a raffica e ad avere a che fare con interlocutori molto spesso stressati per diverse ragioni. Tutto per una paga che nella maggior parte dei casi non supera i 600 euro al mese e per un contratto di lavoro precario che non assicura alcuna garanzia e stabilità .