Proprio per fare un po’ di chiarezza nel dibattito e sgombrare il campo dagli equivoci, èbene spiegare di che cosa si tratta in realtà .
Le gabbie salariali nacquero nel 1954 nell’ambito della contrattazione collettiva confederale. L’Italia fu suddivisa in quattordici aree territoriali caratterizzate da una certa omogeneità geografica, nelle infrastrutture e, soprattutto, nel costo della vita. I minimi salariali contrattati a livello centrale, dunque, erano tenuti rigidamente separati per ognuna di queste zone.
Le aree territoriali furono ridotte a sette nel 1961; infine, nel 1969 il sistema fu soppresso e, pertanto, negli ultimi quarant’anni la contrattazione èstata territorialmente unitaria. Si calcola che nel quindicennio delle “gabbie†i differenziali fra i minimi salariali sfioravano in certi casi il 30% dell’importo.
La proposta leghista, sebbene abbia un’evidente similitudine con il vecchio sistema contrattuale, se ne discosta tuttavia in parte. L’idea odierna, infatti, èquella di legare l’andamento dei salari al costo della vita nelle diverse aree del Paese, senza tuttavia dividere a monte lo stesso in aree rigidamente separate.
L’ipotesi in questione, tuttavia, non ha molte possibilità di andare lontano, e non solo per le divisioni nella stessa maggioranza di governo. Il punto èche oggigiorno si va verso una valorizzazione della contrattazione a livello aziendale e individuale, mentre perde di valore il livello centrale e confederale.
Inoltre, l’individuazione di un valore territoriale del costo della vita èardua, considerando che nel Nord esso èpi๠elevato ma allo stesso tempo anche i servizi pubblici sono generalmente pi๠efficienti. Difficile, dunque, mettere a confronto aree del Paese molto diverse.