Innanzitutto, èstabilito che il datore di lavoro che non rispetta una precedente sentenza del giudice diretta a rimuovere atti o comportamenti discriminatori subisce una sanzione specifica e molto pesante. Infatti, non si applicheranno pi๠le ordinarie norme del codice penale sull’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità , bensଠuna regola specifica che prevede per il datore una multa fino a cinquantamila euro o addirittura l’arresto fino a sei mesi.
Ma, in generale, sono tutte le sanzioni di carattere amministrativo contenute nel Codice ad essere ritoccate al rialzo. Prevista una particolare aggravante di pena, quando la vittima delle discriminazioni si era in precedenza battuta proprio per il rispetto delle pari opportunità .
Un’ulteriore aggravante si ha poi nell’ipotesi che gli atti discriminatori riguardino una donna in stato di gravidanza, il cui accesso al lavoro e la successiva carriera sono spesso ostacolati, come racconta la cronaca.
Ai fini di legge sono altrettanto sanzionabili sia le discriminazioni dirette che quelle indirette: le prime sono quelle in cui le opportunità di crescita professionale, l’accesso al lavoro o la stessa retribuzione sono diversificati in base al sesso; le seconde sono costituite dagli atti che, agendo per vie traverse (come l’altezza, la forza fisica o altri parametri opinabili), arrivano ad ottenere il medesimo risultato.
Abrogata, infine, una norma già giudicata incostituzionale: le donne che raggiungono l’età della pensione di vecchiaia ma intendono continuare a lavorare non devono pi๠presentare al datore alcuna dichiarazione entro i tre mesi precedenti.