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Stipendio inferiore alla busta paga configura reato di estorsione

La Corte di Cassazione con la sentenza n° 31535 del 3 agosto 2012 ha stabilito la configurabilità  del reato di estorsione a carico del datore di lavoro che approfittandosi dell’attuale situazione del mercato del lavoro, caratterizzata da una prevalenza dell’offerta sulla domanda, obbliga i suoi dipendenti, sotto “minaccia” di licenziamento, ad accettare trattamenti retributivi non adeguati alle prestazioni effettuate, contrarie alle disposizioni di legge o dei contratti collettivi nazionali.


Nel caso in esame, in particolare, la Suprema Corte ha giudicato il caso di alcuni lavoratori che si erano rivolti al giudice perchè costretti dal loro datore di lavoro, sotto minaccia di licenziamento, a restituire parte delle somme ricevute a titolo di retribuzione o ad accettare un compenso inferiore a quello figurante in busta paga. In tal caso, dunque, secondo i giudici la minaccia offensiva che va a configurare il reato di estorsione èpalese, in quanto qualora i lavoratori non avessero accettato le condizioni imposte dal datore di lavoro sarebbero stati sanzionati con il licenziamento o con la mancata assunzione.

Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, il comportamento del datore di lavoro non trova giustificazione neanche dal suo scopo, ossia quello di continuare ad assicurare alle persone offese il mantenimento del posto di lavoro, ed èulteriormente aggravato dal fatto che le parti versavano in una situazione di bisogno e quindi si erano viste costrette ad accettare le condizioni dettate dall’imprenditore. Nel caso in esame il datore di lavoro èstato condannato a sette anni di reclusione e ad una multa di 3.500 euro.