Il primo caso èquello di colui che abbia almeno un genitore o un nonno italiano: in questo caso sono sufficienti tre anni di residenza per presentare la domanda.
La seconda ipotesi èquella dello straniero maggiorenne adottato e residente da almeno cinque anni successivi all’adozione.
Se non si rientra in questi casi, èsufficiente la sola residenza ininterrotta sul suolo italiano, ma i termini sono piuttosto lunghi: in caso di cittadini comunitari occorrono quattro anni e se extracomunitari dieci. Per gli apolidi e i rifugiati sono sufficienti cinque anni.
Esiste, infine, un caso particolarissimo in cui la residenza a conti fatti non rileva: chi ha prestato servizio come nostro dipendente pubblico per almeno cinque anni, anche all’estero, èassimilato ai casi precedenti.
L’iter èmolto simile a quello previsto per la cittadinanza conseguente a matrimonio, per cui rinviamo all’articolo precedente per tutti i chiarimenti. Ci sono perಠalcune importanti precisazioni di cui occorre dare conto.
Innanzitutto, alla lista dei documenti da allegare alla domanda occorre escludere ovviamente l’atto di matrimonio e aggiungere invece la sentenza di adozione o la documentazione del servizio pubblico prestato per lo Stato, negli appositi casi che abbiamo indicato. Il certificato di cittadinanza italiana del coniuge èsostituito da quello del genitore o nonno nel primo dei casi descritti.
Per evitare di alimentare la criminalità comune e organizzata, inoltre, si richiede che il richiedente possa dimostrare di possedere almeno un reddito minimo per l’autosufficienza: occorre quindi presentare copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni.