Ma cosa avviene per l’imposta sul valore aggiunto? La soluzione confermata costantemente negli anni dalla magistratura tributaria èsemplice e intuitiva, nell’ottica di punire entrambe le parti fraudolente in causa.
Cosà¬, l’emittente èdebitore dell’imposta sull’operazione fatturata, anche quando inventata di sana pianta, mentre il ricevente non puಠin alcun modo sperare di detrarla.
Questa linea di condotta èstata confermata anche nella complessa vicenda risolta da poco dalla Corte di Cassazione, in una sentenza di pochi giorni fa.
Nel corso di verifiche sul campo compiute dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate era apparso palese che molte delle fatture ricevute inferivano ad operazioni mai davvero svolte, per vari motivi: si descrivevano acquisti di beni di cui perಠnon si trovava traccia;
s’ipotizzavano servizi di cui il presunto committente non aveva in verità alcun bisogno; i pagamenti avvenivano solitamente in contanti, anche per importi ingenti, e le causali nelle fatture erano sempre piuttosto generiche per non dire confuse.
A nulla èservito al contribuente controbattere che la detrazione IVA era giustificata dal fatto che le operazioni erano regolarmente registrate nelle scritture contabili, e che da questo presupposto tali fatture andavano considerate genuine; infatti, in caso di elementi gravi, precisi e concordanti gli indagatori possono prescindere dal contenuto dei registri.
Pertanto, nonostante la correttezza formale di fatture e registri, tocca al contribuente dimostrare l’effettività dei presunti acquisti dichiarati; altrimenti, gravi indizi come quelli descritti giustificano la rettifica della dichiarazione IVA operata dall’Agenzia delle Entrate e la comminazione delle relative sanzioni.