Per l’esattezza, si èstabilito che, laddove i membri di una società compiono determinati reati nell’interesse della società , quest’ultima puಠessere chiamata a risponderne davanti al tribunale e subire le relative sanzioni (chiaramente si parla di sanzioni pecuniarie, dato che èimpensabile la reclusione per un ente, ma anche della chiusura forzata dell’impresa e del divieto di contrattare con la pubblica Amministrazione).
La legge lascia una serie di punti oscuri, e la giurisprudenza negli anni ha teso ad interpretarli in maniera molto rigorosa. Non solo tale corresponsabilità si ritiene inderogabile laddove il reato èstato commesso dai rappresentanti legali (a partire dagli amministratori) ma frequentemente anche da semplici dipendenti, sebbene la società possa difendersi dimostrando che costoro hanno agito per loro conto, nel proprio esclusivo interesse.
La legge lascia comunque una scappatoia.
Non sono punibili le società che, prima della commissione del reato, avevano adottato un efficiente modello organizzativo teso a prevenire i reati. In tal caso, sottolinea la legge, la società dimostra di aver preso tutte le precauzioni possibili, e l’eventuale reato èperciಠstato compiuto contro la “volontà †dell’ente, se cosଠsi puಠdire.
Negli anni, perà², i giudici hanno di fatto reso inutile tale previsione normativa: il fatto stesso che c’ stato un reato, secondo la maggioranza dei tribunali, dimostra che il modello organizzativo eventualmente adottato si èrivelato inefficiente e quindi insufficiente a fornire un ombrello contro le sanzioni. Solo di recente qualche magistrato ha emesso sentenze meno severe.