La prima, e pi๠comune, consiste nel trasferire denaro e titoli presso una banca residente in Italia (“rimpatrio materialeâ€).
La seconda (“trasporto al seguitoâ€) èadatta soprattutto per gioielli od opere d’arte, e consiste nel farli passare fisicamente alla frontiera: in questo caso, perà², occorre presentare un’apposita dichiarazione alle autorità doganali, perdendo la possibilità dell’anonimato che invece èfacile da conseguire nel rimpatrio materiale, in cui per esempio èpossibile ricorrere ai servigi di una società fiduciaria nel ruolo di intermediario.
L’ultima soluzione èquella del rimpatrio giuridico: denaro, titoli e ricchezze varie rimangono fisicamente all’estero, ma sono depositati contabilmente presso una banca o altro intermediario finanziario italiano che provvederà ad amministrarli e custodirli; dunque, dal punto di vista della tecnica giuridica, ècome se questi capitali fossero tornati in Italia.
C’ ancora un’altra strada, pi๠complessa. I beni posseduti all’estero sono conferiti ad una società – già esistente o istituita ad hoc – e le relative partecipazioni sono rimpatriate (nella forma del rimpatrio materiale o in quella del rimpatrio giuridico).
L’ipotesi èapplicabile nella generalità dei casi, ma èla soluzione pressochè obbligata quando i beni posseduti consistono in immobili (ville, terreni…) situati in paradisi fiscali, o comunque in nazioni “poco collaborativeâ€, per cui, dunque, non èpossibile battere la strada della regolarizzazione.
L’unica soluzione praticabile, dunque, diviene quella di trasformare i propri possedimenti, come descritto, in partecipazioni societarie e rimpatriare quelle. A meno, naturalmente, di non ricorrere semplicemente alla rivendita di tutte le proprie ricchezze e rimpatriare successivamente il denaro ricavato.