Figura tra questi il caso delle dimissioni rassegnate da un lavoratore in stato di incapacità naturale, oppure rese dal lavoratore in stato di incapacità di intendere e di volere, ai sensi di quanto previsto dall’art. 428 del codice civile.
In caso di incapacità di intendere e di volere, in particolare, la legge stabilisce che ai fini dell’annullabilità delle dimissioni non ènecessario che il lavoratore sia stato totalmente privo delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una opportuna valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente.
Qualora tale ipotesi venga accertata dal giudice, questo dispone il reintegro nel posto di lavoro e, qualora venga accertata la malafede del datore di lavoro, anche il pagamento delle retribuzioni a partire dal giorno delle dimissioni.
Allo stesso modo sono annullabili le dimissioni rassegnate dal lavoratore dipendente sotto minaccia di licenziamento per giusta causa o sotto minaccia di far valere un diritto o una mancanza per vie legali. In tal caso l’annullabilità avviene per violenza morale e solo qualora questa venga accertata. L’onere probatorio ècarico del lavoratore.
La minaccia di licenziamento non ècausa di annullabilità delle dimissioni qualora le stesse siano state rese da un lavoratore che confessi di aver commesso gli addebiti contestati e qualora questi siano di gravità tale da poter giustificare un licenziamento per giusta causa. Pertanto, in ogni caso di dimissioni associate ad una minaccia, il giudice deve valutare la natura, intimidatoria o meno, dell’invito rivolto al lavoratore alle dimissioni e il comportamento tenuto dal datore di lavoro, in rapporto all’entità del fatto concreto ascrivibile al lavoratore.