La storia èsemplice: la donna era addetta al bar di un noto casinà², e con una certa frequenza ometteva di certificare i corrispettivi delle consumazioni (senza, peraltro, che vi fossero alla base motivazioni particolari, se non la semplice pigrizia).
La dirigenza del casinà², scoperto dalla contabilità che qualcosa non tornava, aveva incaricato un’agenzia investigativa di fare qualche indagine; ci èvoluto poco a scoprire le omissioni della barista.
Immediato il licenziamento, a cui èseguito il ricorso della dipendente: ma quest’ultimo, respinto dai tribunali di merito, ènaufragato anche di fronte alla Suprema Corte.
La sentenza della Cassazione ha messo in luce due principi di un certo interesse. Prima di tutto, costituisce giusta causa di licenziamento l’aver adottato un comportamento illecito che poteva mettere nei guai il datore di lavoro di fronte alle autorità (nel nostro caso, l’Amministrazione Finanziaria).
In secondo luogo, e questo èforse anche pi๠interessante, al datore di lavoro èstato riconosciuto come legittimo il diritto di spiare i suoi dipendenti a mezzo di investigatori privati.
Lo Statuto dei Lavoratori, in effetti, vieta al datore di controllare a distanza con telecamere o mezzi analoghi i propri subordinati, e inoltre non ammette alle guardie giurate di entrare nei luoghi di lavoro (se non nei casi di emergenza).
Nel caso esaminato, perà², il datore di lavoro ha potuto ricorrere correttamente “ai mezzi necessari per assicurare la sopravvivenza dell’impresa, quali i controlli occulti di un’agenzia investigativa contro attività fraudolenteâ€, come hanno scritto i giudici nella sentenza.