La sentenza della Corte di Giustizia europea del novembre scorso non lascia scampo all’Italia: le donne devono andare in pensione alla stessa età degli uomini, per evitare ogni tipo di discriminazione; e poichè al momento ci sono cinque anni di differenza (sessant’anni l’età per la pensione di vecchiaia delle donne e sessantacinque per gli uomini), occorrerà un periodo transitorio che porti alla sospirata uguaglianza.
Dal primo gennaio 2010 occorreranno infatti 61 anni, e ogni due anni questa soglia aumenterà di un anno, fino a raggiungere la completa parificazione nel 2018.
Si calcola che, a regime, l’INPDAP otterrà da questa riforma un risparmio annuo pari a due miliardi e mezzo di euro, che saranno destinati a finanziare uno specifico fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio, definito “fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia realeâ€, i cui obiettivi sono ancora piuttosto oscuri.
àˆ certo, comunque, che per le dissestate casse dell’INPDAP èuna boccata d’ossigeno notevole.
Va ricordato che, oltre alla pensione di vecchiaia, resta la possibilità di andare in pensione d’anzianità , purchè si vantino almeno trentacinque anni di contributi e sessant’anni d’età , oppure quarant’anni di contributi.
Tuttavia, l’applicazione del sistema contributivo comporta pensioni d’anzianità nettamente pi๠misere delle pensioni di vecchiaia; pertanto, alle pubbliche dipendenti converrà rassegnarsi alla riforma e rinviare di qualche anno la fine della propria vita lavorativa.
Saranno oltre duecentocinquantamila le lavoratrici (oggi ultracinquantenni) che nel periodo 2010-2018 vedranno allontanarsi di uno o pi๠anni la pensione che appariva ormai all’orizzonte: e, di esse, circa il 60% lavora nel settore scolastico.