Il caso esaminato dalla Suprema Corte èstato sollevato da una donna che per molti anni aveva collaborato gratuitamente presso la ditta individuale del suo compagno e convivente.
Successivamente, quando il rapporto affettivo si era ormai esaurito e la convivenza giunta al termine, la donna ha richiesto all’ex compagno il salario arretrato per tutti gli anni di lavoro prestato. Egli si èperಠrifiutato, e il caso ècosଠfinito davanti ai giudici.
L’imprenditore ha giustificato il suo rifiuto affermando che la collaborazione della donna andava considerata come una normale forma di assistenza interna ad un rapporto sentimentale, e pertanto estranea ad ogni legame del tipo datore-dipendente.
La Suprema Corte ha perಠvalutato il caso sotto un’altra angolatura: èvero che l’assistenza reciproca èun diritto/dovere tipico del matrimonio e che da tempo la magistratura ha riconosciuto la medesima situazione anche nelle convivenze “more uxorioâ€; nel caso considerato, perà², l’imprenditore non riconosceva alla convivente pari condizioni di vita, lasciandole in definitiva solo qualche spicciolo del ricavato dell’attività comune.
I magistrati hanno ritenuto che il rapporto in questione non poteva pertanto definirsi assistenziale o solidaristico, e tantomeno paritario.
In mancanza di un’effettiva reciprocità nei rapporti economici fra le parti, percià², la donna èapparsa ai magistrati della Cassazione come una vera e propria dipendente mai retribuita, e pertanto meritevole del riconoscimento della paga arretrata (insieme alle ferie non godute, al TFR e a tutte le altre componenti).