Tuttavia, i conti sono stati fatti senza l’oste, o, pi๠esattamente, senza il parere degli organismi comunitari; e poichè almeno uno dei tributi interessati, l’IVA, èdi derivazione europea, la Corte di Giustizia ha successivamente stabilito che l’Italia non poteva unilateralmente rinunciare a riscuotere il relativo gettito in cambio di un contributo sostitutivo sproporzionatamente basso.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha infine stabilito il 17 febbraio scorso la portata della sentenza comunitaria, la quale dispiega la sua piena efficacia senza bisogno di alcuna procedura di recepimento nazionale.
Per la maggior parte dei contribuenti, in realtà , non cambia nulla: sono passati molti anni e i termini di decadenza sono ormai trascorsi.
Il discorso, perಠcambia notevolmente per coloro a cui nel frattempo l’Amministrazione Finanziaria ha avviato contestazioni per qualunque motivo, e le relative cause sono tuttora pendenti: ora, infatti, le situazioni in discussione (tutt’altro che archiviate) devono essere rilette alla luce della sentenza comunitaria. In tutte queste fattispecie, infatti, le norme sul condono (e quelle collaterali sulla cosiddetta “rottamazione dei ruoliâ€) devono essere disapplicate, come se non fossero mai esistite.
Percià², l’una tantum versata a suo tempo andrà semplicemente considerata come un semplice acconto sull’IVA a debito, che resta comunque un’obbligazione tributaria da saldare con tutti gli interessi maturati nel frattempo.
Non dovrebbero, comunque, essere applicabili sanzioni: lo Statuto del Contribuente, infatti, tutela la buona fede di chi allora aderଠal condono.