L’IRAP, infatti, fin dalla sua istituzione nel 1997 èdichiarata come un costo non deducibile dall’imposta sui redditi di imprenditori, professionisti ed enti vari. Ma questa mancata riduzione della base imponibile IRPEF/IRES èlegittima dal punto di vista del rispetto del principio della capacità contributiva, il cardine costituzionale su cui si fonda l’intera legislazione tributaria del nostro Paese?
Già molti tribunali hanno rinviato la palla alla Consulta, nel legittimo dubbio che chi avrebbe altrimenti un reddito negativo e sarebbe quindi escluso dalla relativa imposta, si trova invece (non potendo dedurre l’IRAP) a dichiarare un reddito positivo e a pagarci sopra le tasse: un reddito positivo esistente perಠsolo dal punto di vista fiscale e non reale.
La Corte Costituzionale avrebbe dovuto decidere già da un paio d’anni sulla questione, ma ha continuamente rinviato per la necessità di approfondire la questione e per il continuo arrivo di nuove istanze dai giudici di merito.
Ma il tentennamento della Corte dipende probabilmente anche dalla considerazione dell’effetto-bomba che un’eventuale dichiarazione di illegittimità avrebbe sui conti pubblici, stimato intorno ai dieci miliardi l’anno.
Per disinnescare la mina, il Governo ha introdotto l’anno scorso una ridotta deducibilità (10%), purchè in presenza di interessi passivi o spese per il personale. Ma èprobabile che sia ancora troppo poco: a luglio, forse, sapremo.