Eppure, sapere con certezza che tipologia di rapporto si èinstaurato èindispensabile per individuare i diritti e gli obblighi a carico di entrambi.
E, naturalmente, non ha nessuna rilevanza il nome dato dalle parti al loro rapporto: conta, infatti, come esso si svolge effettivamente. Non sono pochi, ad esempio, i rapporti definiti in teoria di collaborazione coordinata e continuativa che il tribunale ha in realtà identificato come di lavoro subordinato a tutti gli effetti.
Per ridurre i contenziosi in proposito, esiste una procedura poco conosciuta e sicuramente utile per tutti gli interessati: la certificazione del rapporto di lavoro. In pratica, il datore e il lavoratore presentano un’istanza congiunta alla commissione di conciliazione istituita dalle rappresentanze bilaterali delle associazioni di categoria e competente per territorio.
Nell’istanza, le parti descrivono le caratteristiche del loro rapporto, e, nell’arco di trenta giorni, la commissione invia la risposta che specifica in maniera definitiva quale contratto di lavoro sussiste fra le parti, indicandone i diritti e i doveri susseguenti.
Tale risposta ècomunicata anche alla Direzione Provinciale del Lavoro e agli enti previdenziali, giacchè essa costituisce, a tutti gli effetti, una certificazione ufficiale che vale nei confronti di tutti i terzi.
La certificazione puಠessere cancellata solo da una sentenza del tribunale, ipotizzabile in due casi. Il primo èquando si dimostra che la commissione ha commesso palesemente un errore di merito nell’individuare il rapporto di lavoro sussistente.
La seconda ipotesi, invece, si ha quando il rapporto di lavoro esistente fra le parti èin realtà differente da come era stato descritto nell’istanza.