In sostanza, èormai pacifico (ma ci sono voluti anni di battaglie legali e dottrinarie) che non èpossibile rettificare il reddito dichiarato dal contribuente basandosi esclusivamente sui risultati statistici derivanti dagli studi di settore.
Essi possono, cioà¨, fornire indizi utili da integrare con altri, oppure consentire di individuare le posizioni pi๠anomale da sottoporre a successivi accertamenti, ma da soli non sono in grado di dimostrare alcunchè.
Sull’uso degli studi di settore èprudente Luigi Magistro, direttore della sezione accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, intervistato dal Sole 24 Ore.
Da un lato, Magistro riconosce l’intrinseca debolezza legale degli studi, tanto che nel 2009 gli accertamenti eseguiti sulla base degli studi sono stati 52.310, contro i 74.696 dell’anno precedente (addirittura il 30% in meno), e sono dati davvero notevoli se consideriamo che i contribuenti non congrui sono ogni anno circa 1.500.000 (per il 97% di loro, dunque, la non congruità agli studi èuno spauracchio inerme).
Dall’altro lato, perà², il direttore difende lo strumento statistico, ritenuto utilissimo per scovare le posizioni da sottoporre ad accertamento. In un anno, infatti, la maggiore imposta accertata grazie agli studi èmediamente raddoppiata, da 6.701 a 12.230 euro.
Magistro èquindi contrario ad ogni ipotesi di superamento degli studi, ribadendone l’utilità . Le informazioni provenienti dagli studi di settore, integrate con quelle provenienti dalle numerose banche dati a disposizione degli accertatori, consentono di mettere in luce molte situazioni altrimenti difficilmente individuabili.
E all’Agenzia delle Entrate i dati da controllare non mancano di certo. Come spiega Magistro, “siamo passati dalla logica dell’accumulo ad una logica dell’utilizzo, che fino ad ora non veniva fattaâ€.