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Studi di settore come strumento statistico

tasse e studi di settore

In questi giorni, banche e associazioni imprenditoriali sono in fibrillazione dopo un inatteso e importante annuncio proveniente dalla SOSE, la società  in mano pubblica che cura gli studi di settore.

L’idea èquella di rivendere sul mercato le banche dati raccolte anno dopo anno. Ci si èresi conto, cioà¨, che gli studi di settore offrono uno spaccato statistico dettagliatissimo dell’imprenditoria italiana, il quale, meglio di molte chiacchiere, èin grado di mettere in luce quali settori sono in crescita e quali in difficoltà , quali aree geografiche sono pi๠promettenti per un dato business, quali bisogni finanziari o strumentali presentano gli aderenti alle singole tipologie di attività .


Si tratta, oltretutto, di dati in gran parte già  disponibili, che basterebbe soltanto affinare per essere rivendibili (la prima cosa da fare, ovviamente, èliminare ogni riferimento ai singoli contribuenti per evidenti questioni di privacy).

L’idea della SOSE sta raccogliendo molti consensi, ma sarà  indispensabile sentire il parere dell’Agenzia delle Entrate, che èdetentore dei diritti sulle banche dati.

Favorevolissimi appaiono Mario Draghi e i vertici della Banca d’Italia (che possiede SOSE per il 12%, mentre il resto èdel ministero delle Finanze), cosଠcome i produttori di software professionali, che potrebbero a loro volta immettere sul mercato programmi avanzatissimi sull’analisi della concorrenza e la gestione dell’impresa.


Pi๠perplesse sono invece le associazioni di categoria, Confindustria e Confartigianato in primis. Se l’utilità  di queste statistiche non èmessa in discussione, si contesta che le informazioni debbano essere rivendute.

I vertici dell’imprenditoria chiedono che le banche dati siano, pi๠semplicemente, rese pubbliche, giacchè sono state alimentate negli anni dai modelli dichiarativi spediti dai contribuenti, che ora avrebbero il diritto di sapere cosa ne èvenuto fuori senza dover sborsare un centesimo.