I ricorrenti, infatti, erano eredi universali di un professionista scomparso improvvisamente diversi anni fa; essi hanno quindi provveduto a liquidare gli affari ancora pendenti del defunto e ad incassare in sua vece le relative parcelle.
Ma la causa del contendere riguardava proprio la sorte fiscale di questi compensi: secondo l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, infatti, essi andavano prima di tutto tassati in sede IRPEF all’interno dell’ultima dichiarazione dei redditi del professionista, redatta in forma postuma dagli eredi.
Dopodichè, i compensi netti ereditati andavano sottoposti all’imposta di successione, soppressa nel 2001 (e poi reintrodotta parzialmente nel 2006), poichè la morte del lavoratore autonomo era avvenuta precedentemente. Il tutto, ovviamente, a carico dei suoi successori.
Il nostro ordinamento vieta che una stessa fattispecie sia soggetta a doppia tassazione, e su questo principio hanno fatto leva gli eredi, non trovando perಠsponda nella magistratura tributaria nè nella Corte di Cassazione.
Nell’ultimo grado di giudizio, infatti, la Suprema Corte ha ricordato che i presupposti dell’imposizione dei redditi e del patrimonio ereditato sono differenti, e pertanto l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate ècorretta.
D’altronde, se il professionista avesse riscosso i compensi in vita sarebbe stato ugualmente tassato e successivamente se questi importi fossero entrati nell’asse ereditario sarebbero stati analogamente tassati i successori; dunque il fatto che gli onorari siano stati riscossi in forma postuma dagli eredi non ha cambiato in alcun modo la sostanza della questione.